mercoledì 13 giugno 2007

Il Piccolo 09/06/07

Approvato, su proposta dell’assessore Antonaz, il programma 2007. Borse di studio e aggiornamento culturale

Minoranza italiana: il Friuli Veenzia Giulia stanzia 1,1 milioni di euro

Passa il piano dell’Università popolare di Trieste

RUDA La giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, su proposta dell'assessore alla Cultura Roberto Antonaz, ha approvato ieri il programma 2007, presentato dall'Università Popolare di Trieste, per lo sviluppo della comunità italiana in Slovenia e Croazia e per la tutela del suo patrimonio culturale e linguistico.

In coerenza con le disposizione delle leggi regionali in materia, il programma 2007 - ha reso noto la giunta Regionale - prevede un'equilibrata articolazione di interventi, coordinati con gli interventi finanziati dello Stato italiano, per la diffusione della cultura italiana, per l'aggiornamento degli insegnanti e per l'organizzazione di viaggi e corsi di istruzione.

Il preventivo del programma preparato dall'Università popolare è di 1,1 milioni di euro. Sono inseriti nel documento, fra l'altro, l'istituzione di borse di studio, il sostegno alla casa editrice «Edit», la fornitura di libri, giornali e riviste, l'invio di docenti dall'Italia nelle scuole della minoranza, seminari di aggiornamento per insegnanti.

Inoltre, l'organizzazione e lo scambio di spettacoli musicali, teatrali, cinematografici e folcloristici, viaggi di istruzione e studio e viaggi in Italia per le comunità degli italiani, infine l'organizzazione di colonie estive. Il provvedimento della giunta regionale si sviluppa in dieci capitoli armonizzati e collegati fra di loro. Saranno privilegiati gli interventi verso le attività tese a favorire la diffusione e la conoscenza nella Nazione d’origine, l’aggiornamento professionale dei giornalisti e degli studenti, la diffusione della cultura nazionale, con particolare riguardo ai complessi e agli organismi teatrali primari del Friuli Venezia Giulia presso le Comunità degli italiani, le scuole, le istituzioni e le organizzazioni del gruppo etnico. È prevista, infine, l’organizzazione di viaggi d’istruzione in Italia.

Tra i vari capitoli in cui si articola il provvedimento varato dalla giunta regionale del Friuli Venezia Giulia da sottolineare i 193.700 euro previsti per il rinnovo e la concessione di borse di studio riservate a connazionali diplomati presso le scuole medie superiori italiane dell’Istria e di Fiume per la frequenza di facoltà diverse pressole università statali e istituti universitari in Italia.

Altri 273.900 euro sono stati individuati, invece, per l’invio di docenti dall’Italia nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana della Slovenia e della Croazia. Intervento finanziato anche con il contributo del ministero degli Esteri. Nella spesa è prevista altresì l’organizzazione di seminari annuali di aggiornamento didattico per gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

Per l’organizzazione di viaggi d’istruzione e di studio a favore di studenti delle classi VIII elementari e per gli studenti maturandi sono previsti 320.500 euro.

Settantamila euro saranno destinati per prestazioni e scambio di spettacoli musicali, teatri di prosa, rappresentazioni folcloristiche, attività culturali e artistiche con la concessione di premi.

Infine altri 75milioni di euro sono stati destinati all’organizzazione di viaggi in Italia per le singole Comunità italiane dell’Istria di Fiume e del Quarnero.

Voce del Popolo: esuli e rimasti potere al dialogo

La Voce del Popolo 09/06/07

Settimo raduno Mailing List Histria : Esuli e rimasti, potere del dialogo


Esuli e «rimasti» potere del dialogo

Il settimo raduno della Mailing List Histria è vissuto su interventi di numerosi relatori. L'incontro, tenutosi a Palazzo Manzioli a Isola, ha fornito spunti, idee ed auspici per il futuro, ed è emerso quanto importante sia la collaborazione tra esuli e "rimasti" e l'impegno nella costruzione di un dialogo comune, che non dev'essere una mera utopia bensì un traguardo da raggiungere. Rispetto a qualche decennio fa, la realtà è mutata notevolmente, in meglio. La dissoluzione della Jugoslavia ha permesso un primo, per certi aspetti timido, avvicinamento tra le genti dell'Adriatico orientale che la storia aveva diviso, anche traumaticamente. Non sempre è stato possibile raggiungere gli obiettivi desiderati, complici anche le puerili diffidenze, le divisioni, ma anche le assurde etichettature affibbiate alle persone, o meglio alle istituzioni e/o associazioni che rappresentano, sia di qua sia di là dal confine – che tra breve verrà meno definitivamente –, che impediscono il riavvicinamento e la collaborazione, specialmente con la diaspora presente nel capoluogo giuliano.


Dalle comunicazioni esposte, invece, è emersa una posizione che esce dai tradizionali cliché. Le generazioni di "mezzo" ed i giovani guardano, per fortuna, con occhio diverso alla questione. Si tratta di una (ri)scoperta della terra dei loro padri e/o nonni, pertanto sono interessate alla storia, alla cultura, al territorio, nonché ad entrare in contatto con una terra che non è solo caratterizzata dalle tragedie del Novecento ma è anche e, sopratutto, luogo di interazione tra le etnie e le culture, che ha prodotto quella particolare civiltà adriatica, la cui componente romanza dette un contributo fondamentale, imprescendibile, che non si può ignorare. Ed il rispetto della storia, dei caratteri originari, poi, è un'altra dimensione che è emersa dagli interventi. Certo, non avrebbe alcun senso parlare di queste terre in senso "mononazionale", poiché la compresenza di più entità è una verità lapalissiana, ma al contempo è doveroso denunciare la storpiatura del passato, cioè la rilettura stereotipata ed artificiosa dei tempi andati – spesso in senso nazionalistico –, in quanto tendono a cancellare l'essenza di quella civiltà sorta lungo i lidi adriatici, che subì influenze reciproche, poiché a queste latitudini il mondo neolatino e quello slavo si intrecciano, e le popolazioni di quest'area, per secoli, hanno convissuto in armonia. Per non cadere nella banalità è importante sottolineare le dicotomie esistenti ed è fondamentale osservare la storia abbandonando quella che è la situazione attuale, completamente diversa dalla realtà del passato, anche da quello più vicino a noi. Sarà l'affermarsi delle coscienze nazionali a provocare le prime divisioni, e, soprattutto, i totalitarismi che funesteranno l'area senza risparmiare nessuno. Se la politica ed i nazionalismi avvelenarono gli animi, bisogna rammentare anche che le popolazioni autoctone – tranne qualche eccezione – non si divisero etnicamente. Le fusioni e la convivenza continuarono nonostante i soprusi compiuti dai regimi, e a testimoniarlo ci sono, in primo luogo, i legami di parentado.


Il Novecento adriatico è contraddistinto dalle violenze, fascista verso Sloveni e Croati e da quella comunista jugoslava nei confronti delle comunità italiane. È doveroso, anche, ricordare che in una dozzina di anni dalle coste dell'Adriatico orientale la componente italiana scomparve o quasi. La sparuta presenza italiana rimasta, ridotta ormai a piccola minoranza, oggi rappresenta i resti, la "testimonianza" di un popolo, non giunto per volere di qualcuno, bensì autoctono e sviluppatosi lungo questi lidi. La comunità "rimasta", indebolita in tutti i sensi, guarda con un certo interesse alla possibilità di creare dei rapporti con chi se ne è andato, e lo stesso si può dire anche con una parte degli esuli, e in modo particolare con i figli ed i nipoti di quest'ultimi, poiché vedono nei connazionali, oggi presenti in Slovenia e Croazia, un interlocutore con cui avviare un discorso, e al tempo stesso sono sensibili nei confronti delle sorti dei connazionali stessi.

La Mailing List Histria ha più volte sensibilizzato l'opinione pubblica del Bel Paese e il mondo della politica, presentando i problemi della minoranza, e ha fatto conoscere a quest'ultima la realtà degli esuli, non solo quella triestina – più o meno nota – bensì anche quella presente in un contesto più ampio. Grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, che annullano le distanze e avvicinano terre lontanissime, abbiamo constatato che vi sono non poche persone disposte al dialogo, e perciò sono interessate a quanto viene tuttora fatto in Istria a Fiume e in Dalmazia a favore della lingua e della cultura italiana. È non è un interesse scialbo o ipocrito. Si tratta di donne e uomini che hanno un profondo legame con la terra d'origine ed auspicano pertanto di poter condividere qualcosa con coloro che in quelle contrade ancora ci vivono e testimoniano la presenza italiana.

Il concorso letterario che viene promosso da questo gruppo di persone, ed appoggiato da varie associazioni della diaspora, sono altresì un'ottima iniziativa culturale che sta dando interessanti risultati. Da quegli elaborati emerge che un mondo e una cultura sono ancora vivi, nonostante tutto e tutti. La cultura è un vettore eccezionale per trasmettere conoscenza e creare legami tra le persone. È importante continuare l'opera iniziata, cercando di intavolare un dialogo costruttivo: l'Europa dei popoli, della concordia e della collaborazione deve nascere per volere spontaneo delle persone che credono in ciò che fanno. Ogni forzatura, nata da esigenze "istituzionali", invece, rappresenterebbe solo una grande ipocrisia ed una perdita di tempo!


Kristjan Knez

Giornale di Brescia su Esuli e Rimasti

Giornale di Brescia 01/06/07

Gli esuli: sì al dialogo ma i beni vanno restituiti (2) Toth e Lacota ribattono alle tesi «minimizzatrici». La «rimasta» Nelida Milani: invitateci al Giorno del Ricordo Gli esuli: sì al dialogo ma i beni vanno restituiti

POLA (Istria)

«Tanti innocenti sono finiti in foiba come reazione all'italianità di questa terra. Ricordo i cittadini di Pola che si addentravano nella campagna a comprare cibo e non facevano più ritorno». Al circolo degli Italiani di Pola, Nelida Milani accetta, dopo qualche titubanza, di aprire il suo cassetto della memoria. Nella scrittrice istriana (autrice di "Una valigia di cartone" e, con Anna Maria Mori, di un capolavoro come "Bora") affiora il tormento dei «rimasti», degli incompresi da tutti: «Noi, figli di antifascisti, eravamo tra due fuochi, nell'impossibilità di una scelta di campo, perché appartenenti a entrambi i mondi, italiano e slavo. Oggi il tessuto umano e antropologico è completamente cambiato, i matrimoni misti hanno annacquato la tensione. Resta il fatto che i croati rappresentano un popolo appena statalizzato, non ancora abituato a fare i conti col passato, che usa il nazionalismo come autodifesa della propria identità». Ma è servito a qualcosa il «Giorno del ricordo»? «Sicuramente - si rianima la professoressa Milani -, perché ha avuto il merito di smuovere il dibattito, ora però bisogna fare in modo che la prossima edizione venga arricchita da convegni e tavole rotonde cui possano prendere parte anche storici croati ed esponenti della minoranza italiana Altrimenti il solco fra i due paesi si approfondirà». Già. Ma è facile immaginare il tasso di «infiammabilità» di questi confronti, vista la distanza siderale che la differente lettura della Storia frappone tra le due sponde dell'Adriatico. «Non scherziamo per favore sulle cifre - è il cortese invito che rimbalza dal telefonino del senatore Lucio Toth, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - perché ormai anche gli storici liberal e di sinistra concordano sul fatto che le vittime italiane furono almeno 5-6.000. Bisogna tener conto, poi, anche degli scomparsi, di quelli di cui non è rimasta traccia, che portano il numero totale dei morti a 15-20.000.
Quanto agli esuli, la cifra di 350.000 non ce la siamo inventata noi. Ne parlarono tanto De Gasperi quanto Tito, ma basta contare le schede degli assistiti dall'Opera Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, 255.000. A questi vanno però aggiunti tutti quelli che non hanno avuto bisogno di passare per i campi profughi o che hanno scelto di andare in altri paesi, come Australia, Canada, Argentina L'indignazione di Toth raggiunge il picco quando si parla della natura del fenomeno: «Come si fa a negare che ci fu una ben studiata pulizia etnica, quando lo stesso Kardelj (strettissimo collaboratore di Tito, ndr) lo scrisse in un suo libro? Come far finta di non sapere che, specie nel 1945, vennero uccisi soprattutto quelli che non erano compromessi col fascismo, e quindi erano rimasti, ma semplicemente non volevano l'annessione alla Jugoslavia? Come negare le liste di proscrizione, con i nomi di 6.000 persone da eliminare?». Ma ci furono anche le feroci rappresaglie sulle popolazioni slave, gli ricordia- mo. «Quelle più grandi le hanno fatte i tedeschi, mentre tra i soldati italiani ci furono episodi di vendette in Montenegro e Dalmazia, come frutto di esasperazione per i massacri dei loro commilitoni. Perché far pagare gli italiani in Istria?

Taglia corto Massimiliano Lacota, presidente di un'altra associazione, l'Unione degli Istriani: «I gesti simbolici di riconciliazione, come avvenuto in Germania e Repubblica Ceca, fanno bene ai politici, ma non risolvono i problemi concreti. Mi riferisco alla restituzione delle proprietà confiscate agli italiani e in molti casi teoricamente ancora disponibili. Ci sono interi villaggi, paesi, strade completamente abbandonati, come a Portole, Montona, Momiano, Buie, perché la Croazia non vuoi sentire ragioni?». «Noi - va al nocciolo Lacota - siamo arrabbiati soprattutto con l'Italia, che ha pagato i danni di guerra alla Jugoslavia con i beni degli esuli, facendosi dare un mandato in bianco da chi partiva spinto dalla paura e dalla disperazione. Una grande truffa,
Un'altra immagine di profughi contraria ai trattati internazionali e che finalmente anche l'Onu ha riconosciuto, dandoci ragione». «La pulizia etnica - conclude il combattivo presidente dell'Unione degli Istriani, che a Bruxelles ha aperto un ufficio per seguire da vicino il "dossier restituzioni" aperto con gli uffici Uè - c'è stata eccome. Nessuno nega le colpe del fascismo, ma se sloveni e croati vogliono il dialogo devono riconoscere le loro responsabilità».

v.di.do

lunedì 11 giugno 2007

Il 12 giugno è la vera liberazione di Trieste?

Si legge oggi sul sito dell'Unione degli Istriani - LIbera Provincia dell'Istria in Esilio quanto segue. E' un testo che fa riflettere e che non mancherà di suscitare, anche qui a Telemaconet , ragionamenti e considerazioni.

UNIONE DEGLI ISTRIANI
LIBERA PROVINCIA DELL'ISTRIA



COMUNICATO STAMPA

Martedì prossimo la solenne commemorazione sul Colle di san Giusto, promossa ogni anno
dall'Unione degli Istriani e dalle associazioni combattentistiche e d'arma
Il 12 giugno tradizionale cerimonia in ricordo della vera Liberazione di Trieste
Nella ricorrenza del 62° anniversario del ritiro delle truppe titine da Trieste, previsto anche
l'intervento del presidente Lacota


Anche quest'anno, il 12 giugno verrà celebrata solennemente la ricorrenza della Liberazione
di Trieste dall'occupazione jugoslava, durata appena quarantadue giorni, durante i quali però la città conobbe momenti di terrore, violenze e barbarie mai conosciute prima, con centinaia di
infoibamenti selvaggi che coinvolsero italiani, sloveni e serbi di Trieste e dell'Istria, vittime spesso innocenti di una furia omicida e sanguinaria che coinvolse anche, nello stesso periodo, molte centinaia di goriziani.

I Quarantadue Giorni di Terrore e violenza

L'occupazione jugoslava di Trieste inizia dopo l'insurrezione di Fonda Savio e don Marzari
contro i Tedeschi all'alba del 30 aprile 1945, che pur ridotti ad una sorta di retro-guardie non
disposti a recedere dai combattimenti: infatti il grosso delle Truppe della Wehrmacht e della
Kriegsmarine è già sulla via del ritorno.

Dopo sanguinosi scontri a fuoco i "Volontari della Libertà" hanno il controllo di buona parte
della città ed issano il Tricolore sul palazzo comunale e sulla Prefettura, ma i Tedeschi rifiutano di arrendersi per consegnarsi agli Alleati.

Il 1° maggio, quelli che Togliatti invita i triestini a chiamare "liberatori" e che arrivano in città sono i partigiani jugoslavi, che organizzati meglio ripeteranno le stragi commesse in Istria dopo l'8 settembre 1943.

Le milizie jugoslave del IX Korpus sloveno e della IV armata di Petar Drapsin, giunte in città a marze forzate per precedere gli anglo-americani (che arriveranno il giorno seguente con la 2
Divisione neozelandese del gen. Freyberg) disconoscono da subito i "Volontari della Libertà" ed assumono pieni poteri. Affidano il comando a Josip Cemi, sostituito poi dal gen. Dusan Kveder.
Impongono, a guerra finita, un lungo coprifuoco (dalle 15 alle 10!), limitano la circolazione dei
veicoli, dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia" e
danno carta bianca alla polizia politica, l'OZNA, le cui modalità d'azione superarono quelle della
Gestapo. Prelevano giornalmente dalle case i cittadini, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti combattenti della Guerra di Liberazione.

L'otto maggio proclamano Trieste "città autonoma" nella "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia", con le altre sei: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, e
Macedonia. L'unico quotidiano è "Il nostro Avvenire", schierato in funzione anti italiana.
In città vige il tenore, si scopre presto dove vanno a finire i cittadini arrestati oppure prelevati nottetempo dalle proprie abitazioni: nelle foibe o nei campi di concentramento, come quello di Borovnica, anticamera della morte. Arresti indiscriminati, confische, requisizioni, violenze
d'ogni genere, ruberie, terrorizzano ed esasperano triestini ed istriani che invano richiedono l'aiuto del Comando Alleato.

La prima settimana di giugno gli Angloamericani, bisognosi di dispone del porto di Trieste
per le linee di comunicazione verso l'Europa centrale, intimano alle truppe slave di ritirarsi aldilà della "Linea Morgan", facendo affluire due Divisioni, ed alcune unità navali da combattimento. Il 9 giugno Tito, constatata l'indisponibilità di Stalin a sostenere l'ambizione jugoslava, a Belgrado, fa arretrare le sue truppe, sottoscrivendo l'accordo proposto dagli Angloamericani: un accordo che costituirà anche lo sciagurato prodromo della definitiva perdita dell'Istria .

Il 12 giugno del 1945 l'evacuazione ha termine e la città è libera dal terrore. In città restano gli irriducibili, i sostenitori, che proseguiranno la lotta, non disdegnando ancora il ricorso alla pratica delle foibe.

Sono stati quaranatadue giorni di supplizio per la città” spiega il presidente dell'Unione degli Istriani Massimiliano Lacota “che però ancora oggi qualcuno, come Togliatti allora, intende salvaguardare in una mendace ed oltraggiosa memoria come giorni di Liberazione. In realtà, quella fu l'occupazione peggiore che Trieste conobbe nel corso della sua millenaria storia”.

Il 12 giugno deve necessariamente essere elevato a ricorrenza solenne del Comune di Trieste, è una richiesta che l'Unione degli istriani, che da anni commemora l'evento, ha già presentato più volte nel corso degli ultimi due anni”. “E' un preciso dovere degli amministratori della città e dei
rappresentanti delle varie componenti etniche della città sostenere questa sacrosanta istanza,
poiché a subirne le conseguenze non furono soltanto italiani ma chiunque, sloveni, croati, serbi, non si allineava all'imperialismo jugoslavo
” conclude Lacota.
UNIONE DEGLI ISTRIANI


Lutto Brazzoduro

Si legge sul sito del CDM- Arcipelago Adriatico quanto segue:

08/06/2007 - Lutto in casa Brazzoduro

Le sentite condoglianze del CDM

E’ venuta a mancare questa notte, Annamaria, cara consorte di Guido Brazzoduro, Sindaco del Libero Comune di Fiume in Esilio, Vicepresidente ANVGD, e già Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli.
Il Presidente Renzo Codarin con i collaboratori del CDM, si associa al dolore della famiglia. All’amico Guido Brazzoduro l’abbraccio e l’affetto di chi è stato testimone della sua strenua lotta, condotta insieme ad Annamaria, per tentare di sconfiggere prima, ed alleviare poi, il male che l’ha stroncata.
I messaggi di cordoglio possono essere inviati alla famiglia Brazzoduro, Via Felice Bellotti 1, Milano 20129, o direttamente al nostro indirizzo e.mail info@arcipelagoadritico.it e gli saranno da noi recapitati.



Naturalmente Telemaco si associa alle condoglianze per il grave lutto che ha colpito l'ex presidente della Federazione.

Eco de Piram giugno 2007

E' uscito l'ultimo numero (40) dell'Eco de Piram, organo ufficiale della Fameia Piranesa dell'Unione degli Istriani - Libera Provincia dell'Istria in Esilio.

Il numero inn formato PDF è direttamente leggibile da questo link. Riportiamo l'interessante fondo non firmato.

Si tratta di un testo del presidente Viezzoli? Del Direttore Neami (onnipresente sui giornali dell'Unione)? O di chi?

Diamo Significato alla "FAMEA PIRANESA"

Sono trascorsi dieci anni da quando è uscito il primo numero dell’allora
“Eco de Piran”. Abbiamo sentito il bisogno di sostituire “PIRAN” con
“PIRAM” per tutta una serie di ragioni, giustificate da considerazioni soggettive.
Non sono mancati i dissensi; li abbiamo riportati (ci è pervenuto
uno scritto che interpreta la disapprovazione di un gruppo di piranesi).
Ci siamo sforzati, improvvisandoci inserzionisti, di riportare semplici
scritti, adatti ad essere letti da tutti; alla nostra portata. Abbiamo, nel
possibile, cercato di mantenere una certa “dignità” letteraria.
I nostri temi hanno trattato, nella maggior parte, esperienze di vita, notizie
basate sulle ricerche storiche; scorci reali dell’essere piranese.
Non sempre è stato facile; non tutte le volte! Ci siamo avvalsi della
preziosa collaborazione di nostri compaesani e non. Ricordiamo con
vivo ringraziamento coloro che hanno permesso la pubblicazione di
testi unici e irripetibili; non manchiamo di ringraziare coloro che,
sentendosi partecipi, hanno affidato alle pagine dell”’ECO” le loro
gioie e i grandi dolori.
Abbiamo rivisitato la nostra storia; siamo giunti fino nei più remoti
angoli delle nostre contrade.
Assieme abbiamo rivissuto momenti di ricordo, con il sapore della
nostra piranesità. Non sempre è stato semplice il mantenere viva l’attenzione
del lettore che, sicuramente, ad ogni uscita apre il giornale
nella speranza di una breve evasione evocativa.
Assieme abbiamo percorso le tiepide calli di Pirano e la grazia dei tanti
“soleri”. Ci siamo soffermati davanti alle porte delle nostre case che
sembravano ridestare l’antica anima piranese.
Abbiamo rievocato la vita dell’antica città: chiusa in se stessa, sollecitata
da un benefico fervore, l’unico che poteva lusingare il nostro
orgoglio civico.
Abbiamo cercato di interpretare, con semplicità, le emozioni ed i ricordi
di tutti noi, sforzandoci di poter dare un significato alla “FAMEA
PIRANESA”.
Siamo giunti a questo traguardo grazie alla generosa partecipazione di
tutti VOI, carissimi compaesani e, con questa speranza, ci auguriamo
di proseguire nel nome di PIRANO. Grazie.


Nuova Sede Isola Nostra

Cambia sede l'Associazione che raccoglie gli Esuli da Isola d'Istria.

ISOLA NOSTRA

Via XXX Ottobre 4

34122 Trieste

Telefono 040 - 638236

e-mail: trieste@isolanostra.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo

Orario sede: martedì e giovedì 10-12 - venerdì 16-18

mercoledì 6 giugno 2007

Ecco la democrazia della Croazia che vuole entrare in Europa

La Voce del Popolo 01/06/07

Croazia : «Stranieri, residenza permanente solo a patto che conoscano il croato» Il governo di Ivo Sanader ha varato una serie di provvedimenti

«Stranieri, residenza permanente solo a patto che conoscano il croato»

ZAGABRIA – Per gli stranieri una delle condizioni principali per ottenere la residenza permanente in Croazia sarà la conoscenza della lingua croata e della scrittura a caratteri latini. Lo prevede la proposta di legge sugli stranieri, armonizzata alle direttrici dell'Unione europea, inviata ieri in procedura parlamentare. Il nuovo documento, inoltre, stabilisce tre tipi di residenza sul territorio nazionale: a breve scadenza (fino a novanta giorni), temporanea e permanente. La novità di maggiore rilievo va ricercata nel fatto che gli stranieri ai quali è stata concessa una residenza temporanea di quattro anni per il ricongiungimento famigliare, potranno ricevere la residenza senza una ragione particolare. Il permesso di lavoro, in linea di principio, in futuro non significherebbe anche l'automatica concessione della residenza temporanea ma si riferirebbe esclusivamente al lavoro che, in linea di massima, non dovrebbe incidere necessariamente sulle attività economiche sul territorio nazionale. Gli studenti stranieri, i lavoratori stagionali e quelli "au pair", nonché coloro che offrono servizi, non potrebbero ricevere la residenza permanente, la quale può venire concessa allo straniero se fino al momento della presentazione della relativa richiesta, gli erano stati concessi al minimo cinque anni di residenza temporanea. La nuova proposta di legge stabilisce, inoltre, che gli stranieri ai quali è scaduto il permesso di soggiorno sono tenuti a lasciare il territorio nazionale. Sulla loro eventuale espulsione dalla Croazia, dovrebbe decidere, oltre ai Tribunali, anche il Ministero degli Interni. L'onere di dimostrare la legalità del soggiorno, andrebbe a carico del diretto interessato. Per l'attuazione della legge, l'anno prossimo dovrebbero venire spesi circa tre milioni di kune, mentre nel 2009 e nel 2010 ulteriori complessivi quattro milioni di kune. Il Governo, allo stesso tempo, ha concordato la Strategia della politica di migrazione per questo e il prossimo anno. Si sottolinea, tra l'altro, la necessità di istituire un particolare organismo che avrebbe il compito di coordinare tutti i tipi di migrazione e l'integrazione degli immigrati nella società. Nel corso della medesima riunione dell'Esecutivo, è stata concordata anche in forma ufficiale la proposta del Programma nazionale per l'introduzione dell'istruzione media obbligatoria. In questo contesto, è stato messo in evidenza che la legge in materia dovrebbe entrare ufficialmente in vigore fra un anno o due. "Quest'anno, non vorremmo dover ricorrere alle modifiche alla Costituzione, considerato che i Paesi democratici non si comportano in questo modo nell'anno delle elezioni. Per questa ragione, partiamo dapprima con il programma nazionale e fra un anno o due con proporremo la legge che stabilirà, appunto, l'obbligatorietà dell'istruzione media in Croazia", ha ribadito il premier Ivo Sanader. (ss)

Distorsioni della Hansen


Il sito internet www.anvgd.it ha pubblicato quanto segue.

Esuli: impegno reale e finti obiettivi
mercoledì 06 giugno 2007

Per dare un senso compiuto al nervosismo che pervade in questo periodo alcuni soggetti nel mondo degli Esuli, ma di cui spesso la base ignora comportamenti e prese di posizione, pubblichiamo l'attenta analisi della Direttrice del nostro mensile "Difesa Adriatica", che sul numero di giugno chiarisce in maniera lineare ciò che sta avvenendo.

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Gli ambienti degli esuli sono attraversati da qualche tempo da inquietudini e insofferenze che hanno condotto alcune associazioni ad assumere posizioni nettamente distanti e fortemente critiche dalla Federazione, accusata di muoversi con lentezza e in maniera inadeguata rispetto agli interlocutori di governo e ai problemi, non pochi, che perdurano circa la tutela dei diritti dei profughi giuliani e dalmati.
Di questi dissensi non diremo il “colore” spesso eccessivo e non di rado, anzi quasi sempre, offensivo delle persone accusate addirittura di “intelligenza con il nemico” (cioè con i governi e con la classe politica), perché non credo interessino i nostri Lettori e la totalità degli esuli, ai quali va invece garantito un impegno costante e concreto. Ci interessa piuttosto fare qualche considerazione sulla natura e sulle ragioni di questi atteggiamenti così drastici e feroci nei confronti di quanti, assunta la dura responsabilità di interloquire con la controparte istituzionale e politica, si ritrovano esposti ovviamente alle più ingenerose critiche.
Chi abbia una qualche conoscenza storica degli ambienti per così dire minoritari quali si sono configurati nel corso del Novecento in tutta Europa, sa che sono terreni di coltura di aspettative, di frustrazioni, di tensioni. La tragedia vissuta si depone nel cuore, o per meglio dire nelle viscere, di quanti l’hanno patita per trasformarsi nel tempo in un grumo cristallizzato, immutabile. O, per altro verso, è consapevolmente rimossa (ma apparentemente), per necessità o per istinto di sopravvivenza. Metabolizzare l’ingiustizia sofferta è un processo psichico complesso, richiede molto tempo, risorse interiori profonde e non sempre inesauribili. Per questo guardare alle cose con lucidità è difficile, e si rischia di restare fermi al minuto della tragedia subita.

Ora, perseguire la giustizia non significa restare ancorati agli scenari di sessant’anni fa. Chi ha il dovere di operare nel presente e di guardare avanti con onestà intellettuale e ragionevolezza, non può essere come la statua di Lot, rivolta al passato; né può cavalcare demagogicamente lo scontento, l’insofferenza (più che giustificati, certamente) della categoria.
Le ipotesi sono due: o si prosegue nel faticoso e annoso percorso del confronto con le parti (governo, pubblica amministrazione, enti locali, etc.), o ci si colloca su un isolotto e si dà fuoco alle polveri degli anatemi. La prima ipotesi, che richiede una pazienza di Giobbe e uno stomaco più che forte, insensibile, porta a qualche risultato (tardivo, ovvio; cambiano le maggioranze ma le risorse per i profughi giuliano-dalmati sono sempre poche). Nella seconda ipotesi si costruiscono castelli di carta, sogni della materia delle nuvole, finti obiettivi buoni a riempire di sciocchezze i «blog» di nullafacenti e a giustificare le ambizioni di qualche dirigente più o meno rampante.
La prima ipotesi prevede il lavoro costante e quotidiano, la disponibilità a rispondere alle domande di ogni giorno e di sempre, alle richieste di aiuto; nella seconda ci si può permettere di immaginare grandi scenari sospesi in aria e deserti.
Le domande, elementari, sono queste: quali sono gli strumenti migliori per guadagnare quel che è possibile in termini di risarcimento (non soltanto materiale) agli esuli per quanto perduto (beni, ambiente, prospettive)? Di contro, detto crudamente, quale peso esercita oggettivamente la comunità dei profughi sulla bilancia delle relazioni con gli interlocutori istituzionali? Ciascuno rifletta.
Gli immaginifici proclami di alcuni rieccheggiano nel vuoto: escluse le ipotesi di manifestazioni violente, di atti inconsulti, estranee allo spirito e alla civiltà dei giuliani e dei dalmati, resta soltanto la via paziente e irta della trattativa ad oltranza, che richiede scontri e conflitti quotidiani con le istituzioni, di cui questi signori – si fa per dire – non hanno la minima idea non avendolo mai fatto. Ed è proprio questa la via che eespone alcuni rappresentanti della Federazione al fuoco amico dei cecchini di casa, che li colpiscono alle spalle mentre sacrificano a questa lotta ogni loro energia.
Nessuno ha mai escluso la possibilità di manifestazioni unitarie collettive di una certa consistenza numerica, in luoghi significativi, come a Roma. Ma ogni volta che si è arrivati al dunque non è stata certo l’ANVGD a tirarsi indietro, essendo del tutto in grado di collaborare efficacemente alla loro realizzazione. L’azione di pressing popolare rimane uno strumento essenziale delle democrazie per raggiungere risultati ritenuti giusti come certo sono i nostri. Ma allora lo si faccia insieme. Altrimenti le accuse si perdono nelle nebbie di un velleitarismo parolaio teso soltanto a raccattare consensi marginali, privi di ogni concretezza di programma.

Patrizia C. Hansen

Interessante il tentativo di analisi della situazione. Certamente fuori registro il cappello iniziale, che autoproclama il pezzo come latore della verità universale. Forse il webmaster di www.anvgd.it si considera al di là del bene e del male... il nervosismo nel mondo degli esuli serpeggia anche e soprattutto tra aderenti all'Unione degli Istriani, Liberi Comuni e ANVGD... per quest'ultima parlo a ragion veduta per coinvolgimento personale!
Ma a ben vedere nemmeno la Hansen, direttore responsabile di Difesa Adriatica , scrive serenamente cercando di analizzare il problema in modo aprioristico, bensì estremamente di parte, falsando pertanto la propria analisi.
Frasi come [...]offensivo delle persone accusate addirittura di “intelligenza con il nemico” (cioè con i governi e con la classe politica),[...], che confermano peraltro la visione di avversione verso il governo ed i governi, tesi peraltro sempre propugnata dall'Unione di Massimiliano Lacota, [...] Ora, perseguire la giustizia non significa restare ancorati agli scenari di sessant’anni fa. Chi ha il dovere di operare nel presente e di guardare avanti con onestà intellettuale e ragionevolezza, non può essere come la statua di Lot, rivolta al passato; né può cavalcare demagogicamente lo scontento, l’insofferenza (più che giustificati, certamente) della categoria@[...], [...] Nella seconda ipotesi si costruiscono castelli di carta, sogni della materia delle nuvole, finti obiettivi buoni a riempire di sciocchezze i «blog» di nullafacenti e a giustificare le ambizioni di qualche dirigente più o meno rampante[...] - si fa forse riferimento proprio a questo telemaconet?!? Paura della critica e del ragionamento, eh??? - , [...]Gli immaginifici proclami di alcuni rieccheggiano nel vuoto: escluse le ipotesi di manifestazioni violente, di atti inconsulti, estranee allo spirito e alla civiltà dei giuliani e dei dalmati, resta soltanto la via paziente e irta della trattativa ad oltranza, che richiede scontri e conflitti quotidiani con le istituzioni, di cui questi signori – si fa per dire – non hanno la minima idea non avendolo mai fatto[...] e [...] Ma ogni volta che si è arrivati al dunque non è stata certo l’ANVGD a tirarsi indietro, essendo del tutto in grado di collaborare efficacemente alla loro realizzazione. L’azione di pressing popolare rimane uno strumento essenziale delle democrazie per raggiungere risultati ritenuti giusti come certo sono i nostri. Ma allora lo si faccia insieme. Altrimenti le accuse si perdono nelle nebbie di un velleitarismo parolaio teso soltanto a raccattare consensi marginali, privi di ogni concretezza di programma.[...] dimostrano una parzialità ed una partigianeria fuori dal comune.

Ma evidentemente la Verità, secondo la Hansen, sta solo dalla parte di chi è ogni giorno, da sessant'anni e senza risultati, nelle stanze del potere!

Bilinguismo di Facciata

La Voce del Popolo 02/06/07

Il Commento - Bilinguismo di facciata IL COMMENTO

Bilinguismo di facciata

Negli Statuti dei Comuni costieri del Capodistriano si legge che il territorio degli stessi, o meglio una parte di essi, è bilingue, cioè che la lingua slovena e quella italiana sono ufficiali e hanno pertanto pari dignità. Ovviamente tra la teoria e la prassi la realtà cambia notevolmente e sovente, nonostante "l'elevato grado di tutela della Comunità Nazionale Italiana" – che non vuole dire solo insegne bilingui –, la situazione assume sfumature alquanto diverse. Gli accadimenti storici, con le sue funeste ripercussioni sul territorio, pesano ancora come un macigno, e si riflettono esplicitamente sul versante dell'uso e della diffusione della lingua di Dante – e del tradizionale dialetto – su questo tratto di costa. Nonostante gli atti ufficiali, i regolamenti e le commissioni comunali preposte alla vigilanza e al rispetto del bilinguismo, negli ultimi anni si nota una generale tendenza volta a marginalizzare la lingua italiana, confinandola alle sole istituzioni della minoranza. Di conseguenza qual è la lingua del territorio? A prescindere dal fatto che in siffatta area si comunichi, si operi e si faccia cultura anche in italiano, posso dire, senza temere smentite, che nella stragrande maggioranza dei casi le comunicazioni avvengono in lingua slovena.
Perché succede questo si chiederà qualcuno, se esiste il bilinguismo? Certo, è previsto, ma, obiettivamente, è solo di "facciata", poiché nella quotidianità ci si imbatte in situazioni poco piacevoli, indicanti quanto poco gradita sia "l'altra lingua". Questo è un dato di fatto. Più di una volta mi è capitato di osservare delle persone anziane esprimersi in italiano in qualche negozio e vederle trattate sgarbatamente, o meglio ignorate, dai commessi. E poi c'è una sorta di peso psicologico anche nelle persone di mezza età, che solo in pochi casi decidono di "uscire allo scoperto", e quasi sempre se sono certe che l'interlocutore corrisponderà nella stessa lingua. In pratica ci si rivolge in italiano solo se si conosce la persona che si ha davanti, e nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di connazionali. I più giovani e i giovanissimi, invece, passano direttamente alla lingua della maggioranza, e in tale modo eludono il problema di ritrovarsi in situazioni "imbarazzanti". Insomma la "mimetizzazione" sembra ormai il modus vivendi. E poi non capisco perché certi adolescenti, ma non solo, si rifiutano categoricamente di parlare in italiano, e mi riferisco a coloro che a casa usano il nostro vernacolo. Vergogna? Desiderio di non svelare la propria identità? O altro? I sociologi saprebbero certamente darci una risposta esauriente.
Ci troviamo di fronte a queste situazioni anche perché il dialetto istro-veneto è sempre meno presente nella nostra zona – specialmente tra le giovani generazioni -, a differenza del Buiese e dell'Umaghese, in cui il dialetto viene utilizzato da ampia parte della popolazione. Da noi, invece, la situazione è completamente diversa, e la lingua slovena assimila, complici anche quei connazionali che all'interno dei matrimomi misti – per altro sempre esistiti – mettono al bando la lingua italiana, con conseguenze certamente non favorevoli al già debole corpo minoritario. Perché siamo arrivati a questo, mentre nei decenni addietro le famiglie trovavano un equilibrio linguistico al suo interno? Ecco un altro quesito per gli studiosi della società. I problemi che interessano il territorio di Pirano, Capodistria e Isola sono notevoli e difficili da sintetizzare, è sufficiente rammentare la pressione antropica sulla costa registrata negli ultimi tre lustri, che si manifesta chiaramente con la speculazione edilizia. Tutto ciò porta all'insediamento di un numero elevato di persone da ogni parte della Slovenia, che, per ovvi motivi, non parlano l'italiano, e spesso non comprendono il valore del bilinguismo, alterando così la già delicata situazione in cui si trova la componente italiana presente in loco. Se tutto ciò non bastasse constato una poca sensibilità nei confronti della nostra lingua, le cui "dimenticanze" ed omissioni non sono certo casuali. Evidentemente più di qualcuno ritiene che nessuno utilizzi più la lingua italiana, e sia tuttt'al più un "interessante elemento folkloristico" (forse da esibire?). La tendenza, purtroppo, è questa. Qualche esempio? Ce ne sono a iosa, però ne indicherò solo due. Sugli autobus della linea Capodistria-Pirano (su alcuni, non su tutti) noto che i nomi dei luoghi corrispondenti alle principali fermate sono indicati solo nella versione slovena. E poi come non ricordare la "svista" fatta dai funzionari del Comune di Pirano che, nel pubblicare il bando pubblico per l'assegnazione dei mezzi finanziari per le attività sociali, sottolineano che i moduli debbono venir compilati in forma leggibile e in lingua slovena, che è poi una condizione per aderire al bando stesso. Quando i rappresentanti della CNI al seggio specifico hanno fatto notare l'incongruenza, la risposta è stata che, evidentemente, si è trattato di una "dimenticanza" e che si provvederà alla correzione. Stranamente ci si dimentica sempre della lingua italiana, mentre il testo del bando, tuttora presente nel sito del Comune, è identico a quello inserito in origine.

Kristjan Knez

Museo istriano senza soldi!!!

Si legge nella sezione news di www.irci.it :

Per la prima volta il Civico Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata di Trieste compare ufficialmente in una mappa della città di Trieste.

Nella brochure Parco del Mare di Trieste. Il progetto, distribuita dalla Camera di Commercio di Trieste, compare una bella immagine satellitare del centro città con lo schema delle principali installazioni culturali e dei poli museali ed espositivi del capoluogo giuliano.

Tra essi, sotto la sigla mi, appare il museo istriano di via Torino 8.




Cliccare sull’immagine per la mappa completa

Come noto i lavori per la realizzazione del Museo di via Torino sono ormai giunti all’assegnazione del terzo lotto ed i lavori procedono secondo la tempistica prevista dal progetto generale.

Attualmente lo sforzo dell’I.R.C.I. è concentrato sul reperimento dei finanziamenti che consentiranno di coprire la quota mancante di fondi per il completamento dell’intero progetto.


Interessante soprattutto l'ultimo passaggio: attualmente lo sforzo dell'I.R.C.I. è concentrato sul reperimento dei finanziamenti che consentiranno di coprire la quota mancante di fondi per il completamento dell'intero progetto

Ciò vuo,l chiaramente dire che i soldi per completare iol museo mancano!!!

La cosa è gravissima e preoccupante anche perché alcuna delle organizzazioni triestine o, men che meno la Federazione, sembrano dare peso a questa carenza!

Minoranze economiche

Il Piccolo 02/06/07

Euroregione, primi scenari: la minoranza italiana punta all'autonomia economica Convegno a Capodistria. Gli sloveni in Italia chiedono la piena attuazione della legge di tutela globale
Tremul teme per l’unitarietà dopo l’ingresso di Lubiana nell’area Schengen

Euroregione, primi scenari: la minoranza italiana punta all’autonomia economica

CAPODISTRIA Le minoranze italiana in Slovenia e Croazia e slovena in Italia sono una grande risorsa per il territorio, ma perché possano esprimere appieno le loro potenzialità ed essere davvero un fattore integrante nell'area altoadriatica, deve essere loro consentito di crescere e di operare in un clima di serenità e fiducia. Questo, in sintesi, il messaggio principale emerso dal convegno di studi sul «Ruolo delle due comunità nazionali… nella futura Euroregione, nei processi di integrazione europea e nella cooperazione transfrontaliera», organizzato ieri a Capodistria dall'Unione italiana e dall'Skgz (Unione culturale economica slovena) nell'ambito del progetto «SA.PE.VA. Studio, analisi, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, storico e linguistico delle comunità nazionali italiana e slovena nell'area transfrontaliera», finanziato dal Programma di iniziativa comunitaria Interreg IIIA Italia–Slovenia. Il convegno è stato un'occasione per rinsaldare la collaborazione tra le due minoranze, ma anche per evidenziare alcuni problemi. Il principale, per quanto riguarda la comunità slovena, riguarda il ritardo nell'applicazione della legge di tutela globale, questione che dovrebbe sbloccarsi a partire dal 15 giugno, ossia dalla prossima riunione del Comitato paritetico e dalla definitiva perimetrazione del territorio di applicazione della normativa. In quanto alla minoranza italiana, invece, i problemi chiave sono due: il mancato rispetto delle norme di tutela (buone sulla carta, ma spesso e volentieri disattese nella prassi, ndr.) e l'inesistenza di una base economica, cosa che rende la comunità italiana eccessivamente dipendente dai soldi pubblici ma che ostacola anche il radicamento sul territorio. Invece, come ha sottolineato il presidente dell'Skgz Rudi Pavsic, le minoranze non dovrebbero essere considerate «un problema di bilancio, ma un investimento sul territorio». Il presidente della Giunta esecutiva dell'Unione Maurizio Tremul ha voluto evidenziare inoltre i rischi dell'inasprimento del regime di confine tra Slovenia e Croazia, dopo che la Slovenia sarà entrata nell'area Schengen e le frontiere tra Slovenia e Italia non ci saranno più. Per evitare che quello tra Slovenia e Croazia diventi un nuovo muro, e che ne risenta la minoranza italiana, gli italiani di queste terre, ha spiegato Tremul, considerano la futura Euroregione e i progetti europei strumenti importantissimi. In questo contesto, secondo il presidente della Comunità autogestita costiera della minoranza italiana (Can) Flavio Forlani, il ruolo delle minoranze, cancellati alcuni confini geografici, è di contribuire all'eliminazione dei confini mentali ancora presenti sia nell'opinione pubblica che nella sfera politica. Nei vari interventi sono stati rilevati pure i problemi legati alla proposta di Risoluzione sulle comunità nazionali italiana e ungherese nella repubblica di Slovenia, documento che dovrebbe essere approvato dal Parlamento sloveno ma che non dà risposte concrete ai problemi delle minoranze e in particolare al loro calo numerico evidenziato nel Censimento 2002, nonchè la questione della regionalizzazione della Slovenia. La minoranza italiana è sempre convinta che una regione a statuto speciale che comprendesse i comuni di Capodistria, Isola e Pirano sarebbe la soluzione migliore per la tutela dei suoi diritti. Al convegno sono intervenuti, tra gli altri, il direttore dell'Ufficio governativo sloveno per le minoranze Stanko Baluh, il direttore del direttorato per le questioni europee e bilaterali del Ministero Affari esteri sloveno Bogdan Benko, l'ambasciatore d'Italia a Lubiana Daniele Verga, il console generale d'Italia a Capodistria Carlo Gambacurta, e il sottosegretario italiano all'Interno Ettore Rosato. Il modo in cui le due minoranze stanno collaborando e tutto quanto hanno fatto finora per crescere insieme, secondo Rosato, è «un modello ed esempio di quanto si può fare nella costruzione della nuova Europa». Il terzo ed ultimo convegno del progetto SA.PE.VA., dopo quello di ieri e il primo che si è tenuto in gennaio a Gorizia, avrà luogo a fine anno a Trieste.

Interessante articolo pubblicato su Il Piccolo di Trieste... ancora una volta gli stessi esponenti dell'Unione Italiana con sede a Fiume/Rijeka esprimono ben in chiaro il loro progetto per divenire soggetti in ambito economico prima che politico.

Tutto meno che soggetti protagonisti sul pino della tutela della cultura e dei tratti caratteristici della civiltà istriana!

Tutelare gli interessi economici va bene ma chi tutela il patrimonio artistico italiano anche minore in Istria? E le sepolture italiane??

lunedì 4 giugno 2007

ANVGD: la rappresentatività come bandiera ?!

In data odierna il sito www.anvgd.it, nella sua sezione news, riporta un comunicato il cui senso ultimo e recondito è oscuro quanto trasparente:

ANVGD: la rappresentatività come bandiera
lunedì 04 giugno 2007

Da un'analisi della composizione del Consiglio Nazionale dell'ANVGD, espressione del voto della base associativa, abbiamo elaborato i dati di origine dei singoli componenti.

Ne viene fuori questa composizione geografica:

- 60 % Istriani (compresi i Polesani)

- 20 % Fiumani

- 20 % Dalmati.

Da questa breve proiezione è evidente il peso specifico della componente istriana all'interno dei vertici associativi dell'ANVGD.

Oscuro nel senso che vien da chiedersi il perché di questa excusatio non petita - peraltro assai strana nei suoi arrotondamenti numerici: il 60% contro il 20% contro il 20% in una comoda ridistribuzione da par condicio... stranamente non è il 58,9% contro il 15,3% contro il 25,8% o qualsiasi altro numero percentuale - e trasparente in quanto dimostra la paura di essere sorpassata da altre reltà nuove ed in evoluzione.

Di più, vien da obbiettare che discorrendo di rappresentatività, non credo sia interessante ragionare sulle distribuzioni percentuali della composizione della base, bensì su quanto i vertici rappresentino la medesima... ed allora vien da chiedersi, i vertici ANVGD rappresentano realmente la loro base?

venerdì 1 giugno 2007

Matvejevic & la Foibe

Riprotiamo l'articolo a firma di Predrag Matvejevic apparso su www.laregione.ch in tema foibe.
Contenuto incredibile quanto inacettabile, dimostrazione di pensiero giustificazionista e falsatore della storia.

Il commento

La memoria divisa sul dramma delle foibe
di Predrag Matvejevic


di Predrag Matvejevic
Ho condannato in tempi lontani, quando ancora vivevo in Jugoslavia, i crimini delle foibe, quando se ne parlava raramente ed in modo inadeguato in Italia. Così come ho scritto dei crimini dell’Isola Calva, dove perirono molti comunisti, jugoslavi e italiani, che sentivano maggiore affinità con Stalin e con Togliatti che non verso il “ revisionismo” titino.
Ho anche avuto modo di parlare degli esuli dell’Istria e della Dalmazia, dopo la seconda guerra mondiale – e lo facevo in Jugoslavia, dove era comunque più difficile farlo che in Italia.
Me ne sono andato dal paese natio come un esule volontario, proclamato dissidente da persone ben strane – solo perché la pensavo diversamente o ancora perché non intendevo assumermi la responsabilità della nuova guerra fratricida. Ho passato quasi tre anni in Francia, e da più di dieci anni mi trovo in Italia. Alcuni scrittori italiani hanno proposto al Presidente della Repubblica di assegnarmi la cittadinanza italiana per meriti culturali, e lui lo ha fatto.
Dico tutto questo visto che, per parlare di ciò che intendo affrontare, bisogna presentare in primo luogo, purtroppo, la carta d’identità.
segue a pagina 11
DALLA PRIMA
E la mia identità è complessa, stratificata, atipica: madre croata e cattolica di provenienza bosniaco- erzegovese, padre ortodosso nato in Ucraina ma di lingua russa e francese. Scrivo dunque questo testo da europeo che non ripudia la propria origine, e al tempo stesso da cittadino che vive in un paese che l’ha accolto con grande cordialità e amicizia.
Sì, le foibe sono un crimine grave e quelli che lo hanno compiuto meritano una condanna severa. Ma per la dignità di questo dolore corale, così come per amore di verità, bisogna dire che quel delitto fu preparato e anticipato da altri, che forse non furono sempre meno gravi. Se ciò viene taciuto, allora si corre il rischio di una strumentalizzazione “ del delitto e del castigo”, nonché di una manipolazione di entrambi.
È chiaro che nessun crimine può venire sminuito o giustificato richiamandosi ad un altro. Le foibe, di cui ha scritto, componendo uno dei più sconvolgenti poemi della Resistenza antifascista europea, il croato Ivan Goran Kovacic ´ hanno una loro contestualità storica che non possiamo rimuovere o trascurare se vogliamo dire la verità e se cerchiamo nella verità una sublimazione alla sofferenza. Perché la menzogna e l’omissione la umiliano e la tradiscono.
L’ingloriosa vicenda cominciò infatti molto prima, non lontano dai luoghi dove furono poi compiuti quei crimini. Ci appoggiamo a documenti che hanno piena credibilità. Il 20 settembre 1920 Mussolini tenne un discorso a Pola, in Istria. E dichiarò: “ Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara”.
Le statistiche a nostra disposizione parlano di un numero di circa 80 mila esuli fra croati e sloveni nel corso degli anni ’ 20 e ’ 30.
Gli slavi persero il diritto che, ancora sotto dominazione austriaca, avevano di servirsi della loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto della predica in chiesa e persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Le città e i paesi cambiarono nome e lo stesso toccò alle famiglie e agli individui. Ed è appunto in un contesto del genere che si sente parlare per la prima volta della minaccia della foiba.
Fu il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli a scrivere nel 1927: “ La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria” ( da Gerarchia , IX, 1927).
Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria si passò alla pratica. L’ebreo Raffaele Camerini, che si trovava ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della capitolazione dell’Italia, nel luglio 1943, testimoniò nel giornale triestino Il Piccolo ( 5 novembre 2001): “ Sono stati gli Italiani, fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe”. La peggior cosa che gli toccò era trasportare e gettare gli antifascisti uccisi nelle foibe istriane e cospargere i loro cadaveri di calce viva.
La storia potrebbe aggiungere alcuni altri dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani fu certamente il duce ( poglavnik ) degli ustascia Ante Pavelic ´ . E il campo di Jasenovac fu una Auschwitz in formato ridotto, con la differenza che lì il lavoro veniva fatto “ a mano”, mentre i nazisti lo facevano in modo industriale. E anche le foibe erano una parte della strategia di questi criminali. Mi domando se c’è uno scolaro o uno studente che abbia mai potuto leggere in un testo scolastico che quello stesso Pavelic ´ , con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere per anni dell’ospitalità mussoliniana a Lipari, dove il gruppo riceveva aiuto e corsi di addestramento dai più rodati squadristi del fascismo.
E ancora: il governo di Mussolini si annetté la gran parte della Slovenia, compresa Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia- Erzegovina, tutte le Bocche di Cattaro. E nella circostanza, fra il 1941 e il 1943, circa 30 mila slavi – croati e sloveni – vennero di nuovo scacciati dall’Istria e dalle terre occupate.
Le camicie nere eseguirono fucilazioni di massa e di singoli individui. Varie fonti valutano in 200 mila le persone uccise, in particolare sul litorale e sulle isole. Un numero molto probabilmente gonfiato, ma se anche solo un quarto di esso corrispondesse alla realtà, sarebbe comunque troppo.
Ci furono episodi in cui gli occupanti aiutarono anche il “ duca” cetnico serbo, il pope Djujic, un uomo che incendiava i villaggi croati e i loro abitanti, vendicandosi così delle stragi compiute dagli ustascia sulla popolazione serba. Era un modo per rinfocolare dall’esterno la guerra civile interna. A ciò bisogna aggiungere la catena di campi di concentramento italiani, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud, a quella di Lapad nelle Elafiti, fino a Pago e Arbe, vicino al golfo del Quarnaro.
Spesso si transitava in questi luoghi per raggiungere la risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si finiva anche ad Auschwitz.
I partigiani non erano protetti dalla convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano immediatamente sterminati come cani. Così molti giunsero alla fine delle guerra carichi di risentimento. Fra di loro c’era gente capace di compiere misfatti come quelli delle foibe. Non ci sono testimonianze di nessun genere, in nessun tipo di archivio, militare o civile, di alcuna direttiva emanata o giunta dallo stato maggiore partigiano e da Tito.
Singole persone esacerbate – fra quelle che avevano perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i compagni – eseguivano i crimini in prima persona e per proprio conto. Così morirono anche numerosi serbi, croati, sloveni, innocenti vittime di loro connazionali.
Il fascismo lasciò dietro di sé tanto male da provocare drastiche vendette non solo nei Balcani e nei loro dintorni. Ricordiamoci del Friuli, dove non vi furono rese di conti fra diverse nazionalità, ma per il quale i dati parlano di almeno diecimila persone uccise senza processo, alla fine della guerra. In Francia ve ne furono più di 50 mila.
In Istria e sul Carso sono stati estratti finora 570 cadaveri ( lo storico triestino Galleano Fogar, orientato forse più verso la destra che la sinistra, riporta persino un numero inferiore, con l’avvertenza che nelle foibe vennero gettati anche soldati uccisi nelle battaglie svoltesi su territori circostanti, non solo Italiani). Oggi ci tocca ascoltare una propaganda che, attraverso i vari media, fa menzione di “ decine di migliaia di infoibati”.
Secondo lo storico italiano Diego De Castro ( anche lui lontano dal comunismo) nella regione sono stati uccisi circa seimila italiani. Un crimine grande a sufficienza, che non occorre aumentare parlando – come pure si fa – di 30 mila o 50 mila morti. Bisogna rispettare le vittime, e non gettarne loro addosso altre, come facevano proprio gli “ infoibatori”.
Per quanto riguarda poi il posto che tutti questi dati occupano nell’immaginario, non mi è parsa benvenuta né opportuna la propaganda diffusa dal film Il cuore nel pozzo , reclamizzato per giorni in modo insolitamente aggressivo e visto in tv da dieci milioni di italiani. La cinematografia italiana ha la straordinaria tradizione del Neorealismo e non ha bisogno di modelli rovesciati del “ realismo socialista” di epoca sovietica. E anche alle cerimonie organizzate nei giorni del “ ricordo” o ancora nelle trasmissioni televisive di maggior ascolto, sarebbe stato meglio mandare qualche ministro che nei riguardi del fascismo avesse un passato diverso...
La Jugoslavia non c’è più. Gli ultra- nazionalisti serbi, croati e di altra provenienza sono ben contenti quando la destra italiana fornisce loro nuovi argomenti di accusa nei riguardi dello Stato che hanno contribuito a smembrare. Il film appena ricordato è stato girato in Montenegro, con un attore serbo che recitava nella parte di un partigiano sloveno… Non ci sarebbe un’altra strada per rendere il cordoglio a cui partecipiamo più degno e puro, e la storia meno monca e sfigurata? E non passava forse fino a pochi anni or sono accanto a Trieste il confine più aperto fra Oriente e Occidente? Come cittadino del paese democratico in cui vivo e lavoro da più di un decennio, mi sembra che si sia trattato di una ben orchestrata campagna contro l’opposizione di sinistra e il legame che essa ha avuto con il comunismo, portatore, abbiamo sentito, di “ miseria, morte e terrore”. Il vero scopo di questa campagna non è, in verità, quello di accusare e umiliare gli slavi, ma di farla pagare ai propri oppositori riducendone le prospettive elettorali.
C’è una specie di “ anticomunismo viscerale” che, secondo le parole del mio amico, il dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del peggior comunismo. Chi scrive ne sa qualcosa: ha perso praticamente l’intera famiglia paterna in un gulag staliniano.
Il recupero dei cadaveri da una foiba


31/03/2005 07:27


di Predrag Matvejevic
Ho condannato in tempi lontani, quando ancora vivevo in Jugoslavia, i crimini delle foibe, quando se ne parlava raramente ed in modo inadeguato in Italia. Così come ho scritto dei crimini dell’Isola Calva, dove perirono molti comunisti, jugoslavi e italiani, che sentivano maggiore affinità con Stalin e con Togliatti che non verso il “ revisionismo” titino.
Ho anche avuto modo di parlare degli esuli dell’Istria e della Dalmazia, dopo la seconda guerra mondiale – e lo facevo in Jugoslavia, dove era comunque più difficile farlo che in Italia.
Me ne sono andato dal paese natio come un esule volontario, proclamato dissidente da persone ben strane – solo perché la pensavo diversamente o ancora perché non intendevo assumermi la responsabilità della nuova guerra fratricida. Ho passato quasi tre anni in Francia, e da più di dieci anni mi trovo in Italia. Alcuni scrittori italiani hanno proposto al Presidente della Repubblica di assegnarmi la cittadinanza italiana per meriti culturali, e lui lo ha fatto.
Dico tutto questo visto che, per parlare di ciò che intendo affrontare, bisogna presentare in primo luogo, purtroppo, la carta d’identità.
segue a pagina 11
DALLA PRIMA
E la mia identità è complessa, stratificata, atipica: madre croata e cattolica di provenienza bosniaco- erzegovese, padre ortodosso nato in Ucraina ma di lingua russa e francese. Scrivo dunque questo testo da europeo che non ripudia la propria origine, e al tempo stesso da cittadino che vive in un paese che l’ha accolto con grande cordialità e amicizia.
Sì, le foibe sono un crimine grave e quelli che lo hanno compiuto meritano una condanna severa. Ma per la dignità di questo dolore corale, così come per amore di verità, bisogna dire che quel delitto fu preparato e anticipato da altri, che forse non furono sempre meno gravi. Se ciò viene taciuto, allora si corre il rischio di una strumentalizzazione “ del delitto e del castigo”, nonché di una manipolazione di entrambi.
È chiaro che nessun crimine può venire sminuito o giustificato richiamandosi ad un altro. Le foibe, di cui ha scritto, componendo uno dei più sconvolgenti poemi della Resistenza antifascista europea, il croato Ivan Goran Kovacic ´ hanno una loro contestualità storica che non possiamo rimuovere o trascurare se vogliamo dire la verità e se cerchiamo nella verità una sublimazione alla sofferenza. Perché la menzogna e l’omissione la umiliano e la tradiscono.
L’ingloriosa vicenda cominciò infatti molto prima, non lontano dai luoghi dove furono poi compiuti quei crimini. Ci appoggiamo a documenti che hanno piena credibilità. Il 20 settembre 1920 Mussolini tenne un discorso a Pola, in Istria. E dichiarò: “ Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara”.
Le statistiche a nostra disposizione parlano di un numero di circa 80 mila esuli fra croati e sloveni nel corso degli anni ’ 20 e ’ 30.
Gli slavi persero il diritto che, ancora sotto dominazione austriaca, avevano di servirsi della loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto della predica in chiesa e persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Le città e i paesi cambiarono nome e lo stesso toccò alle famiglie e agli individui. Ed è appunto in un contesto del genere che si sente parlare per la prima volta della minaccia della foiba.
Fu il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli a scrivere nel 1927: “ La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria” ( da Gerarchia , IX, 1927).
Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria si passò alla pratica. L’ebreo Raffaele Camerini, che si trovava ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della capitolazione dell’Italia, nel luglio 1943, testimoniò nel giornale triestino Il Piccolo ( 5 novembre 2001): “ Sono stati gli Italiani, fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe”. La peggior cosa che gli toccò era trasportare e gettare gli antifascisti uccisi nelle foibe istriane e cospargere i loro cadaveri di calce viva.
La storia potrebbe aggiungere alcuni altri dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani fu certamente il duce ( poglavnik ) degli ustascia Ante Pavelic ´ . E il campo di Jasenovac fu una Auschwitz in formato ridotto, con la differenza che lì il lavoro veniva fatto “ a mano”, mentre i nazisti lo facevano in modo industriale. E anche le foibe erano una parte della strategia di questi criminali. Mi domando se c’è uno scolaro o uno studente che abbia mai potuto leggere in un testo scolastico che quello stesso Pavelic ´ , con la scorta dei suoi più abietti seguaci, poté godere per anni dell’ospitalità mussoliniana a Lipari, dove il gruppo riceveva aiuto e corsi di addestramento dai più rodati squadristi del fascismo.
E ancora: il governo di Mussolini si annetté la gran parte della Slovenia, compresa Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia- Erzegovina, tutte le Bocche di Cattaro. E nella circostanza, fra il 1941 e il 1943, circa 30 mila slavi – croati e sloveni – vennero di nuovo scacciati dall’Istria e dalle terre occupate.
Le camicie nere eseguirono fucilazioni di massa e di singoli individui. Varie fonti valutano in 200 mila le persone uccise, in particolare sul litorale e sulle isole. Un numero molto probabilmente gonfiato, ma se anche solo un quarto di esso corrispondesse alla realtà, sarebbe comunque troppo.
Ci furono episodi in cui gli occupanti aiutarono anche il “ duca” cetnico serbo, il pope Djujic, un uomo che incendiava i villaggi croati e i loro abitanti, vendicandosi così delle stragi compiute dagli ustascia sulla popolazione serba. Era un modo per rinfocolare dall’esterno la guerra civile interna. A ciò bisogna aggiungere la catena di campi di concentramento italiani, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud, a quella di Lapad nelle Elafiti, fino a Pago e Arbe, vicino al golfo del Quarnaro.
Spesso si transitava in questi luoghi per raggiungere la risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si finiva anche ad Auschwitz.
I partigiani non erano protetti dalla convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano immediatamente sterminati come cani. Così molti giunsero alla fine delle guerra carichi di risentimento. Fra di loro c’era gente capace di compiere misfatti come quelli delle foibe. Non ci sono testimonianze di nessun genere, in nessun tipo di archivio, militare o civile, di alcuna direttiva emanata o giunta dallo stato maggiore partigiano e da Tito.
Singole persone esacerbate – fra quelle che avevano perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i compagni – eseguivano i crimini in prima persona e per proprio conto. Così morirono anche numerosi serbi, croati, sloveni, innocenti vittime di loro connazionali.
Il fascismo lasciò dietro di sé tanto male da provocare drastiche vendette non solo nei Balcani e nei loro dintorni. Ricordiamoci del Friuli, dove non vi furono rese di conti fra diverse nazionalità, ma per il quale i dati parlano di almeno diecimila persone uccise senza processo, alla fine della guerra. In Francia ve ne furono più di 50 mila.
In Istria e sul Carso sono stati estratti finora 570 cadaveri ( lo storico triestino Galleano Fogar, orientato forse più verso la destra che la sinistra, riporta persino un numero inferiore, con l’avvertenza che nelle foibe vennero gettati anche soldati uccisi nelle battaglie svoltesi su territori circostanti, non solo Italiani). Oggi ci tocca ascoltare una propaganda che, attraverso i vari media, fa menzione di “ decine di migliaia di infoibati”.
Secondo lo storico italiano Diego De Castro ( anche lui lontano dal comunismo) nella regione sono stati uccisi circa seimila italiani. Un crimine grande a sufficienza, che non occorre aumentare parlando – come pure si fa – di 30 mila o 50 mila morti. Bisogna rispettare le vittime, e non gettarne loro addosso altre, come facevano proprio gli “ infoibatori”.
Per quanto riguarda poi il posto che tutti questi dati occupano nell’immaginario, non mi è parsa benvenuta né opportuna la propaganda diffusa dal film Il cuore nel pozzo , reclamizzato per giorni in modo insolitamente aggressivo e visto in tv da dieci milioni di italiani. La cinematografia italiana ha la straordinaria tradizione del Neorealismo e non ha bisogno di modelli rovesciati del “ realismo socialista” di epoca sovietica. E anche alle cerimonie organizzate nei giorni del “ ricordo” o ancora nelle trasmissioni televisive di maggior ascolto, sarebbe stato meglio mandare qualche ministro che nei riguardi del fascismo avesse un passato diverso...
La Jugoslavia non c’è più. Gli ultra- nazionalisti serbi, croati e di altra provenienza sono ben contenti quando la destra italiana fornisce loro nuovi argomenti di accusa nei riguardi dello Stato che hanno contribuito a smembrare. Il film appena ricordato è stato girato in Montenegro, con un attore serbo che recitava nella parte di un partigiano sloveno… Non ci sarebbe un’altra strada per rendere il cordoglio a cui partecipiamo più degno e puro, e la storia meno monca e sfigurata? E non passava forse fino a pochi anni or sono accanto a Trieste il confine più aperto fra Oriente e Occidente? Come cittadino del paese democratico in cui vivo e lavoro da più di un decennio, mi sembra che si sia trattato di una ben orchestrata campagna contro l’opposizione di sinistra e il legame che essa ha avuto con il comunismo, portatore, abbiamo sentito, di “ miseria, morte e terrore”. Il vero scopo di questa campagna non è, in verità, quello di accusare e umiliare gli slavi, ma di farla pagare ai propri oppositori riducendone le prospettive elettorali.
C’è una specie di “ anticomunismo viscerale” che, secondo le parole del mio amico, il dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del peggior comunismo. Chi scrive ne sa qualcosa: ha perso praticamente l’intera famiglia paterna in un gulag staliniano.
Il recupero dei cadaveri da una foiba


31/03/2005 07:27


I fantomatici 9 punti

Proponiamo di seguito i fantomatici 9 punti che la defunta Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani aveva proposto quale documento programmatico ufficiale:


DOCUMENTO DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI ESULI
ISTRIANI, FIUMANI E DALMATI PER LE FORZE POLITICHE IN OCCASIONE
DELLE ELEZIONI POLITICHE 2006.
1) RESTITUZIONE DEI BENI
Poiché vi è una parte degli esuli che aspira tuttora alla restituzione dei beni espropriati
e/o nazionalizzati, o a forme sostitutive di compensazione da parte degli stati Sloveno e
Croato, nonostante le difficoltà di carattere diplomatico della trattative in corso, si ritiene
di individuare una piattaforma tecnico-giuridica con cui il Governo Italiano possa
efficacemente affrontare e risolvere, sotto il profilo giuridico, la questione della
restituzione ai profughi e della non discriminazione delle legislazioni interne nei
confronti dei cittadini italiani. Il 12 ottobre 2005 la Federazione chiedeva l’invalidità sul
piano giuridico del Trattato di Roma del 1983 tra Italia e Jugoslavia, che prevede la
liquidazione concordata per i beni italiani della ex zona B del Territorio Libero di
Trieste, sollecitando il Governo Italiano a denunciare l’accordo stesso per inadempienza,
avviando una nuova trattativa con le controparti al fine di esaminare tutte le possibilità di
restituzione dei beni ancora liberi e la congrua rivalutazione al valore reale di mercato
per quelli non liberi.
2) INDENNIZZO EQUO E DEFINITIVO
Preso atto con vivo disappunto che in questa legislatura nulla è stato fatto o deciso su
questo argomento fondamentale per la grande maggioranza degli esuli, si chiede che ad
essi venga riconosciuto un “indennizzo equo e definitivo”, tenendo conto delle quote di
indennizzi già pagate ed aggiornando l’ammontare dovuto e gli importi erogati in base
ad indici obiettivi concordati, sino alla data del nuovo provvedimento. A tal fine si
chiede un ‘tavolo tecnico” composto da esperti, in grado di definire lo stesso in tempi
brevi, sulla base dei contenuti dei progetti di legge già presentati nel corso della 14°
Legislatura.
3) CASE POPOLARI
La normativa approvata al riguardo, anche nel corso delle recenti legislature, ha
contribuito a creare confusione in materia e necessita di un intervento, a livello
legislativo, che conferisca uniformità e chiarezza sia alle agenzie periferiche del
Demanio, sia a Federcasa per quanto concerne la corretta interpretazione delle norme;
così come risultante dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1176/05, e dalle
recenti decisioni del TAR Piemonte, secondo le quali il diritto dei profughi all’acquisto
delle case alle condizioni di miglior favore, di cui all’art. i comma 24 legge 560/93,
spetta a tutti i profughi assegnatari di alloggi di cui all’art. 17 e 18 della legge 137/52, a
prescindere dall’ente proprietario, dalla data di costruzione e dalla natura del
finanziamento.
Si chiede infine che venga risolto il problema del soggetto giuridico legittimato ad
acquisire gli immobili diversi da quelli residenziali, appartenuti all’ex Opera Nazionale
Profughi, nonché ad altri enti e che avevano destinazioni commerciali, industriali,
artigianali, etc..
4) ANAGRAFE
Vista la parcellizzazione delle competenze in materia di anagrafe, documenti di identità,
patenti, tessere sanitarie, posizioni pensionistiche, etc. con gravi conseguenze sulla
correttezza del codice fiscale, dati i numerosi ed incresciosi casi di alterazione dei luoghi
di nascita degli esuli, in contrasto con la legge n. 54/1989 - che garantisce che i Comuni,
già appartenuti allo Stato Italiano, vengano indicati con toponomastica italiana e senza
indicazione del paese di attuale appartenenza (Slovenia, Croazia, Serbia-Montenegro
etc.) - occorre un intervento che coordini tutte le amministrazioni statali e regionali,
nonché il Ministero che segue il sistema informatico dello Stato.
5) TOMBE MONUMENTALI E CIVILI
Si chiede la salvaguardia delle tombe monumentali e civili con scritte in lingua italiana
in Istria, Fiume e Dalmazia. Si chiede inoltre la tutela del diritto degli esuli alla proprietà
delle loro tombe; alcune di tali tombe vengono curate da singoli madrinati, ma spesso
sono state oggetto di vendita arbitraria, non esistendo a livello di Stati un preciso accordo
per la loro conservazione.
6) CITTADINANZA
Il disegno di legge in materia di concessione della cittadinanza ai residenti nelle
repubbliche di Slovenia e Croazia ha concluso l’iter legislativo proprio l’ultimo giorno di
lavoro delle Camere.
Tuttavia sono ancora esclusi dalla normativa i casi di persone di nazionalità italiana
residenti nei comuni della Dalmazia, che non appartenevano all’Italia al momento del
Trattato di Pace del 1947 (SpaIato, Veglia, Ragusa, Cattaro, etc.). Inoltre occorre
riconoscere cittadinanza e origine anagrafica agli esuli sparsi nel mondo e ai loro
discendenti che ne facciano richiesta. Occorre quindi valutare questa situazione di cui le
autorità Consolari sono a conoscenza.
7) FIGLI DEI PROFUGHI E PROVVIDENZE DI CARATTERE SOCIALE E ASSISTENZIALE A
FAVORE DEGLI ESULI
Si richiede che venga ripresa la proposta di legge che tende ad attribuire la qualifica di
profugo con le relative provvidenze ai figli.
Devono inoltre essere predisposte e varate dal Parlamento e dalle Regioni provvidenze a
favore degli esuli in difficoltà per motivi di salute, di età o al di sotto della soglia di
povertà.
Si chiede poi la regolarizzazione delle situazioni previdenziali tuttora irrisolte per:
• contribuzione per periodi di detenzione nei campi di concentramento ex-jugoslavi
(proposta Menia);
• contribuzione di periodi di lavoro nelle zone cedute (prevalentemente prima
dell’esodo dalla zona B);
• tutela e provvidenze a favore di esuli esposti all’amianto nei campi profughi,
come quelle previste per i lavoratori.
8) PROSECUZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA NORMATIVA DI CUI ALLA LEGGE 193/2004
La legge 193 del 2004, di prossima scadenza, che ha sostituito la legge 72/2001, per la
tutela del patrimonio storico, artistico e delle tradizioni culturali italiane delle
associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati in Italia, va rinnovata con interventi
più significativi, con riferimento a quanto previsto per le Comunità degli Italiani nell’ex
Jugoslavia.
9) TAVOLO DI CONCERTAZIONE
Considerata la complessità dei punti sopra esposti e per dare continuità e professionalità
amministrativa alla gestione da parte dello Stato, si richiede la costituzione di un
“Tavolo di Concertazione” a livello di Presidenza del Consiglio, a cui partecipino i
rappresentanti delle amministrazioni interessate e della Conferenza Stato-Regioni,
nonché rappresentanti ed esperti delle Associazioni degli Esuli, con riunioni a cadenze
periodiche.

Federazione delle Associazioni degli Esuli – Renzo Codarin
Unione degli Istriani – Massimiliano Lacota
A.N.V.G.D. – Renzo Codarin
Libero Comune di Fiume in esilio – Guido Brazzoduro
Libero Comune di Pola in esilio – Silvio Mazzaroli
Libero Comune di Zara in esilio – Renzo de’Vidovich

21 marzo 2006

Amianto in FVG

Interessante riportare quanto scritto dalla giornalista Rossana Turcinovich Giuricin per La Voce del Popolo (www.edit.hr) e per CDM-Arcipelago Adriatico (www.arcipelagoadriatico.it) in merito alla questione amianto nel Friuli Venezia Giulia:

31/05/2007 - Istituito in FVG il Registro degli esposti all’amianto

Il diritto alla tutela sanitaria, nessun beneficio pensionistico

La Legge di tutela degli esposti all’Amianto è stata la prima legge regionale varata in Italia con delle precise finalità, spesso con libere interpretazioni che hanno suscitato qualche perplessità e false speranze. Ora la Commissione regionale incaricata a redigere un apposito Registro, giunge alla conclusione di una fase importante del suo lavoro. Ma di che cosa si tratta esattamente?
Ne parliamo con il Presidente della Commissione, Umberto Laureni.
“La finalità di questa operazione sta proprio nell’individuare, con diversi meccanismi, le persone sottoposte al rischio amianto per istituire il Registro mesoteliomi. Ed è su questa operazione che si è attivata la commissione”.
Ma che cosa significa essere iscritti nel Registro?
“Significa fare richiesta, producendo documenti che attestano la reale esposizione all’amianto sia in ambienti professionali che domestici”.
Quali privilegi vengono riconosciuti a queste persone?
“Si tratta di una mappatura di particolare importanza perché fornisce al medico informazioni importanti per agire sulle varie patologie. Ecco perché la legge stabilisce visite specialistiche approfondite gratuite per tutti gli esposti all’amianto. A marzo nel FVG il Registro comprendeva 4.357 persone. Tra breve, il rischio d’esposizione all’amianto verrà inserito anche, come dato di base, sulla tessera magnetica di queste persone, in uso nella sanità”.
Quale fascia di popolazione viene presa in considerazione?
“Si tratta di individui adulti che non abbiano però superato i 65 anni visto che in questo caso la gratuità delle visite specialistiche è automatica”.
L’iscrizione al registro ha effetti sul piano pensionistico?
“Assolutamente no. Questa era una delle informazioni erroneamente fatte circolare in regione, che ha suscitato una certa pressione sulla nostra Commissione. Si tratta di tutt’altro approccio alla questione. Bisogna infatti stabilire l’andamento epidemiologico delle malattie asbestocorrelate per una giusta profilassi, ha quindi un significato di tutela e prevenzione, nonché di intervento sul territorio per sanare i luoghi a rischio”.
Era stata però presentata al mondo degli esuli in regione come possibilità di privilegio pensionistico…
“E questo ha segnato un’impennata delle domande delle quali molte sono risultate conformi alla legge e quindi le persone sono state iscritte nel Registro. Si tratta di casi legati ai campi profughi dove l’amianto era stato usato per costruire le dimore provvisorie di chi arrivava dall’Istria, Fiume e Dalmazia in quegli anni difficili. Avranno, per quanto riguarda i termini di legge, gli stessi diritti di tutti gli altri nella gratuità delle visite mediche specialistiche specifiche”.
A settembre si terrà la terza conferenza regionale sul tema. Con quali premesse?
“Coinciderà, di fatto, con la fine del mandato della Commissione regionale e dovrebbe consentire pertanto un significativo bilancio di cinque anni di attività. La conferenza sarà comunque un’occasione unica di approfondimento, di confronto e di programmazione. Si parlerà della Legge 22/2001, di epidemiologia, di sorveglianza sanitaria, del registro, dei progetti di ricerca, di bonifiche e così via”.
Rispetto alle altre regioni d’Italia, il FVG come si colloca?
“Difficile dirlo, perché con il nostro registro, in effetti noi siamo una testa di ponte. I dati delle altre regioni sono parziali, frammentari e non forniscono comunque dei parametri equilibrati da poter affrontare delle comparazioni plausibili. Diciamo che la legislazione vigente ci permette, con una sua giusta applicazione, di stabilire l’andamento epidemiologico, di attuare un censimento dei siti contaminati da amianto, di verificare lo stato di svolgimento delle bonifiche nei siti in cui l’amianto è presente come, nello stesso tempo, lo stato dei processi di smaltimento dei materiali contenenti amianto”.
Quindi nella logica di tutela dell’uomo attraverso la salvaguardia dell’ambiente?
“Questo è lo scopo del nostro impegno, che verrà presentato ampiamente durante la terza conferenza che si svolgerà al teatro comunale di Monfalcone a settembre con la partecipazione dei soggetti che hanno reso possibile l’applicazione della legge in tempi brevi”.

Rosanna Turcinovich Giuricin